Dalle prime conferenze stampa di Cristian Chivu era chiaro l’intento: rendere l’Inter meno prevedibile, indipendentemente dall’arrivo o meno di Lookman. Un’idea condivisibile, se si considera come i nerazzurri, tra i top club europei, abbiano forse la minore concentrazione di giocatori capaci di creare superiorità numerica con il dribbling.
Un mercato senza filo logico
L’innesto di un giocatore come Lookman sarebbe stato più che un lusso: quasi una necessità, per restituire entusiasmo dopo la chiusura traumatica della scorsa stagione. Ma sfumato il nigeriano, la società ha virato su profili completamente diversi: prima il tentativo per Manu Koné, poi l’arrivo di Andy Diouf. Operazioni utili, certo, ma non del tutto coerenti con il disegno tecnico annunciato.
Con oltre 40 milioni investiti su un trequartista, era lecito aspettarsi almeno un profilo con doti di fantasia e strappo, anche non già affermato in Serie A. La scelta di “cogliere le opportunità” ha sì rinforzato l’organico, ma ha tolto a Chivu quella chiarezza di percorso che altri rivali hanno invece mantenuto.
I miglioramenti e le lacune
Non mancano i passi avanti: passare dal duo Correa-Arnautovic a Bonny-Pio Esposito come rincalzi in attacco rappresenta già un salto di qualità. E Diouf porta caratteristiche che mancavano in mediana. Ma resta il vuoto di un giocatore creativo e imprevedibile, oltre al dubbio se non sarebbe servito un difensore in aggiunta a Pavard, e non in sua sostituzione.
Chivu eredita così un’Inter forte, con qualità e profondità, ma ancora troppo lineare nelle soluzioni. Una squadra che può comunque vincere, ma che si ritrova a dover colmare un limite strutturale sin dall’inizio della nuova era.