“La povertà della proposta tattica e tecnica dell’Inter peggiora di volta in volta”. “Giocare alla Inzaghi senza Inzaghi per la quarta volta consecutiva è da masochisti”. Non sono parole di grandi commentatori televisivi, bensì le sentenze dei giudici più severi del calcio contemporaneo: quelli che affollano i social. Sono gli stessi che volevano Sommer relegato in panchina dopo un errore, o Thuram spedito in tribuna per un sorriso scambiato col fratello. Eppure, ad Amsterdam, dopo un’ora di scetticismo, gli stessi hanno finito per esultare al novantesimo.
Chivu e il peso di un’eredità
Per Cristian Chivu, la verità è che il tempo potrebbe essere sia la sua risorsa più preziosa sia un nemico spietato. La dirigenza non ha scelto la strada più semplice affidandogli l’Inter, e il tecnico romeno ha accettato un incarico che molti già immaginano segnato. L’estate, tra innesti giovani, conferme di ultratrentenni e qualche permanenza inattesa, ha lasciato un gruppo sospeso, a metà tra un rinnovamento incompiuto e una continuità incerta.
Contro l’Ajax, l’allenatore ha avuto l’accortezza di non stravolgere: ha mantenuto l’impronta inzaghiana, facendo leva sulla conoscenza reciproca dei giocatori, preferendo rinviare rivoluzioni che oggi rischierebbero di destabilizzare. Nel post partita ha spiegato così le sue scelte: “Non sono scemo, vado avanti con le mie idee ma senza fare danni”. Una frase che fotografa bene la sua attuale linea di sopravvivenza: proteggere il gruppo, difendere certezze, rimandare le scosse.
La Champions come nuovo inizio
Centonove giorni dopo quella notte di Monaco, il pensiero inevitabilmente è tornato a lì. L’Inter ha affrontato la sua prima sfida di Champions dalla finale persa con il PSG e, pur senza incantare, ha vinto. Un successo che non cancella i dubbi né dissolve le critiche, ma che almeno sposta l’asticella: la Champions non fa più paura e può diventare, per Chivu e per l’Inter, un’occasione di riscatto.